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CMP e GDPR, come stanno le cose

Da maggio 2018, la legge europea e il GDPR (General Data Protection Regulation, o Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati) obbliga i siti a informare e raccogliere il consenso di ogni utente per la conservazione e l’utilizzo dei suoi dati personali durante la sua navigazione. Se l’utente rifiuta il consenso, il sito web è obbligato a garantire che nessun dato sarà utilizzato o trasmesso a terzi. Al contrario, se l’utente dà il suo consenso, tutte le terze parti sono autorizzate a servirsi di questi dati.

In tutti i casi, l’utente deve essere informato di tutti i possibili usi dei suoi dati personali e deve poter dare il suo consenso o meno, per ogni attore coinvolto.

In seguito a questa regolamentazione, l’ecosistema pubblicitario ha scelto di adottare il principio della CMP (Consent Management Platform), che permette di raccogliere il consenso nel modo più trasparente e legale possibile.

La pubblicità online si basa in gran parte sulla memorizzazione e l’utilizzo dei dati, che sia per rivolgersi a un utente preciso in base alle sue affinità, per potergli offrire i messaggi pubblicitari più pertinenti, ma anche, ad esempio, semplicemente per limitare il numero di volte in cui un annuncio viene proposto a uno stesso utente, per evitare di esporlo troppe volte allo stesso messaggio.

Le ripercussioni del GDPR sull’ecosistema digitale

L’assenza di consenso blocca meccanicamente molte tecnologie pubblicitarie e impedisce ad alcuni inserzionisti di investire sulla loro offerta, limitando la concorrenza tra gli acquirenti e quindi i ricavi.

L’importanza del consenso nella strategia di monetizzazione ha spinto la grande maggioranza degli editori di siti a dare agli utenti un livello di informazione minima in modo che possano facilmente dare il proprio consenso e rendere più complicato e meno visibile il rifiuto del consenso. 

Il tasso medio di accettazione è stato quindi del 95%, con un’incidenza minima sull’ecosistema pubblicitario.

Un vero cambiamento?

Dopo diverso tempo dall’entrata in vigore del GDPR, constatiamo quindi che l’impatto sul tasso di consenso relativo all’utilizzo dei dati è minimo. 

Con un tasso di accettazione che oscilla tra il 92% e il 95%, e nonostante l’uso delle CMP che rendono più visibili e trasparenti le opzioni consenso/rifiuto, le conseguenze delle misure europee non hanno realmente avuto conseguenze negative presso gli editori. 

Tre anni dopo l’implementazione del GDPR e l’istituzione del sistema CMP, la maggior parte degli utenti (tutti noi) è ormai abituata a dare il proprio consenso quasi ad occhi chiusi. 

Inoltre, di fronte alla diffidenza che l’uso dei dati ha generato da diversi anni, l’industria pubblicitaria ha iniziato ad anticipare la scomparsa dei cookie di terze parti e a pensare a delle alternative. Ricordiamo che Apple ha già bloccato le possibilità di targeting sui suoi dispositivi e il browser Mozilla Firefox ha fatto della lotta contro il tracciamento il suo principale cavallo di battaglia.

E sono soprattutto queste alternative emergenti che faranno la differenza nei mesi e negli anni a venire. L’evoluzione del mercato è inevitabile; l’utilizzo e lo stoccaggio dei dati, così come avviene oggi, è destinato a scomparire. Mentre molti attori della pubblicità hanno optato per la continuità cercando di rendere il più possibile anonimi questi dati per far sì che fossero legalmente utilizzabili, altri hanno preferito un approccio radicalmente diverso e un targeting basato sul tema e sul contenuto dei siti.

Culture G, la nostra volontà di mettere in valore i tuoi contenuti

Con il targeting semantico e contestuale, non è più questione di rivolgersi a un utente in particolare facendo leva sui suoi interessi, ma di puntare al contenuto che sta visualizzando. 

Un nuovo approccio alla pubblicità online che Culture G sta sviluppando e difendendo con l’obiettivo di creare, a lungo termine, un ambiente pubblicitario più sano e di ridare valore ai contenuti stessi e non più ai dati prelevati dall’utente.